L'ex-premier Berlusconi pare non voler traslocare da Palazzo Chigi. Personalmente ritengo legittimo che la CdL chieda una verifica dei risultati elettorali, visto l'esiguo scarto tra le due coalizioni, ma ciò che mi colpisce è che dopo più di una settimana dal voto si faccia di tutto per delegittimare la vittoria, risicata, di Prodi: si parla di brogli, di legge elettorale (ordita dalla CdL per rendere ingovernabile il paese) non applicata correttamente, di pressioni sulla Corte Costituzionale...il tutto condito dai telegiornali che sentenziano che l'Italia è spaccata in due e quindi urge un dialogo tra i poli; ora, se il risultato fosse stato 52 a 48 l'Italia non sarebbe stata spaccata in due?! l'unica via per non spaccare in due un paese sarebbe la dittatura, o mi sbaglio?!
è necessario aggiungere qualche altro elemento per dare un'idea del clima che si respira: se notate il televideo mediaset (i telegiornali poi...) non ha mai scritto che Prodi, anche se solo di 25ooo voti, ha vinto le elezioni. Alice, programma di approfondimento politico, ha dedicato l'intera puntata all'arresto di Provenzano, così come molti altri speciali dei tg hanno selettivamente evitato l'argomento Prodi-governo. Vorrà dire qualcosa?
L'argomento più divertente, comunque, resta la grande coalizione lanciata da Berlusconi. C'è un articolo di Travaglio sull'Unità di oggi, da cui cito, perchè è davvero intelligente:
...Berlusconi:«Se la sinistra andasse al governo, questo sarebbe l’esito: miseria, terrore, morte. Come avviene ovunque governi il comunismo» (17-1-05). «In Italia c'è uno Stato parallelo: quello organizzato dalla sinistra nelle scuole e nelle università, nel giornalismo e nelle tv, nei sindacati e nella magistratura, nel Csm e nei Tar, fino alla Consulta. Se si consentirà a questo Stato occulto di unirsi allo Stato palese, avremo in Italia un regime vendicativo e giustizialista» (5-4-05). Una campagna elettorale distensiva quant’altre mai: «La democrazia e la libertà nel nostro Paese non sono ancora garantite perché c’è un’opposizione che ancora sventola nelle sue bandiere i simboli del terrorismo e della tirannide sovietica» (21-11-2005). «C'è un’opposizione illiberale che vorrebbe che noi non votassimo» (22-11-2005). «Dobbiamo fare una colossale operazione verità: spiegare che quelli della sinistra, se andassero al governo, porterebbero il Paese al fallimento, costringerebbero i piccoli imprenditori a chiudere, i produttori di vino a non vendere più bottiglie, almeno negli Stati Uniti, gli industriali della moda alla crisi, il made in Italy a non essere più apprezzato sui mercati... Questa sinistra vorrebbe tanto ricoverarmi: li vedo come si voltano alla Camera per non salutarmi» (25-11-2005). «Quelli della sinistra restano comunisti. Sono da eliminare, se non fisicamente, politicamente» (26-11-05). «Se vince la sinistra, addio democrazia» (13-12-05). «Se vince la sinistra, è per i suoi brogli» (4-4-2006).
Non si contano i leader dell'Unione che il Cavaliere ha gratificato in questi anni della sua stima e del suo apprezzamento. Prodi: «leader d’accatto», «maschera dei comunisti», «utile idiota», «bollito», «poveraccio» che «passava il tempo a svendere aziende pubbliche ai suoi amici». Rosi Bindi: «Lei e Prodi sono come i ladri di Pisa: litigano di giorno per rubare insieme di notte». Francesco Rutelli: «In vita sua, non ha mai varcato la soglia di un posto di lavoro». Walter Veltroni: «coglione» e «miserabile». Fabio Mussi: «un sosia di Hitler». Armando Cossutta: «uno che gestiva bande armate negli anni non lontani del dopoguerra e ha continuato fino a pochi anni fa». E poi D’Alema: «comunista», «stalinista», uno che «non riesce nemmeno a dire il suo nome e cognome per intero, perché due verità di fila lo ucciderebbero» e «usa lo Stato come il garage di sua zia, non è laureato, è stato a Mosca 33 volte e lanciava le molotov», insomma «mi ricorda Benito Mussolini». Per non parlare di Piero Fassino: «complice morale del compagno Pol Pot» e «testimonial ideale delle pompe funebri».Ecco, come stupirsi per la proposta di un governissimo con i rappresentanti di «milioni di coglioni che votano contro il proprio interesse»? Con gli eredi-complici di chi «nella Cina di Mao bolliva i bambini per concimare le campagne»? Se il Cavaliere non vede l’ora di governare con quei «Prodi, Bertinotti e Rutelli» che solo il 6 aprile, sulla rivista «Pocket», definiva «come la gramigna che infesta tutto ed è difficile da estirpare», come dubitare della sua buona fede? Se Giulio Tremonti non sta più nella pelle di collaborare con Visco e Amato che chiamava «gangster» e con Fassino («aviaria dell’economia» e «uccellaccio del malaugurio»), e se Antonio Martino agogna un dialogo con quell’Unione che un mese fa dipingeva come «una congrega di mascalzoni», come non prenderli sul serio? È una questione di coerenza. «Non si può consentire a chi è stato comunista di andare al governo», aveva giurato il Cavaliere l’11 maggio 2003. Infatti, coerentemente, non glielo consente.